Al di là del nome il provvedimento costituisce una vera rivoluzione per quanto concerne la normativa in materia di licenziamento illegittimo. Che piaccia o no si va al superamento del sistema previsto dall’art.18 dello Statuto dei lavoratori che prevedeva in ogni caso di licenziamento illegittimo la reintegra del lavoratore. Collegando questa normativa ai tempi della giustizia che in alcuni casi vedono passare diversi anni prima di giungere alla sentenza di primo grado si aveva una normativa estremamente rischiosa per il datore di lavoro.
Infatti con l’art.18 se si riconosceva illegittimo un licenziamento era come se questo non fosse mai avvenuto. Quindi, se un licenziamento comminato nel marzo 2005 veniva riconosciuto illegittimo per qualsiasi motivo e la sentenza di primo grado giungeva nel marzo 2010, il datore di lavoro doveva pagare 5 anni di retribuzioni arretrate e 5 anni di contributi previdenziali. Costi altissimi e soprattutto incerti in quanto legati ai mutevoli tempi della giustizia.
Diversi anni di direzione del personale mi hanno portato in giro per l’Italia in tantissimi tribunali e ho potuto verificare le situazioni più disparate. Tribunali che in un anno decidono in primo grado, tribunali che per ascoltare 6 testimoni rinviano di un anno, tribunali che per arrivare alla prima udienza impiegano anni. E’ chiaro che in questo contesto diventa anche difficile fare una previsione, non già sull’esito del contenzioso, ma perfino sui tempi del giudizio di primo grado. E poiché con l’art.18, col rischio della reintegra il tempo può voler dire costi, l’incertezza sui tempi significa incertezza sui costi.
Un primo depotenziamento degli effetti dell’art.18 si era avuto già con la cosiddetta normativa Fornero del 2012. Con questa normativa si avviava una prima differenziazione fra diverse tipologie di licenziamento illegittimo, diversificando la sanzione. Infatti, nel caso di licenziamento illegittimo per esclusivi motivi formali, la normativa in questione prevedeva non già la reintegra ma un risarcimento del danno (quantificato da 6 a 12 mensilità). Un simile tentativo veniva fatto anche per i licenziamenti disciplinari ma non in modo compiuto ed in sostanza demandando molto alla interpretazione giurisprudenziale. Anche la normativa in materia di licenziamenti collettivi lasciava spazio alla reintegra.
Col Job’s act i casi di reintegra di restringono sostanzialmente a 2 sole ipotesi: nel caso di licenziamento discriminatorio e in un solo caso di licenziamento disciplinare, quello in cui il fatto a base del licenziamento non sussista. In questa seconda ipotesi, anche se la causa dovesse durare anni, l’indennità per il periodo trascorso non può mai essere superiore ai 12 mesi. Anche nel caso di licenziamento collettivo illegittimo, le ipotesi di reintegra sono residuali assimilabili al discriminatorio. Ma oltre a questo anche le mensilità da corrispondere al lavoratore illegittimamente licenziato, come risarcimento, subiscono una contrazione. Infatti nel caso di licenziamento illegittimo per motivi formali si va da 2 a 12 mensilità, negli altri casi da 4 a 24 mensilità in ragione dell’anzianità di servizio.
Con queste norme non vi ombra di dubbio che si vada ad una quantificazione certa del costo del licenziamento anche giudicato illegittimo.
Indubbiamente vengono a cadere molte tutele e in alcuni casi la norma sembra fin troppo favorevole al datore di lavoro. Ma la bontà della norma, che va collocata nell’attuale contesto di crisi economica, dipenderà da quanto concorrerà ad un aumentare l’occupazione e dal raggiungimento dell’obiettivo previsto dal Job’s act della prevalenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, con superamento di tutta quella pletora di forme di lavoro parasubordinato e precario che tanto hanno angustiato i nostri giovani.