Cosa cambia nel mondo del lavoro con l’introduzione del “Jobs act”

Dopo tanto parlare finalmente con decorrenza 7 marzo 2015 sono entrati in vigore i primi due decreti attuativi della Legge 183/2014 meglio conosciuta come Jobs Act. I decreti in questione sono il numero 22 e 23 del 4 marzo 2015 che prevedono l’avvio del nuovo contratto a tutele crescenti, la riforma degli ammortizzatori sociali con l’introduzione di una nuova “indennità di disoccupazione” denominata Naspi, il superamento dell’art. 18 ed il demansionamento di massimo un livello nelle aziende in crisi.

Di fatto la novità più importante è la liberalizzazione delle assunzioni che, unito a quanto prevede la legge di stabilità in termini di sgravi contributivi fino a 8.060€ l’anno per massimo tre anni per le aziende che assumo con contratto a tempo indeterminato, dovrebbe dare un nuovo impulso all’economia ed incentivare le assunzioni da parte delle aziende.

Ma andiamo per ordine. La novità più importante e che ha fatto più rumore è il superamento dell’art. 18 che, con l’eccezione dei licenziamenti discriminatori (per motivazioni legate a sesso, razza, religione e credo politico) e di quelli intimati oralmente per i quali rimane la reintegra nel posto di lavoro, in tutti gli altri casi viene introdotta una tutela risarcitoria certa commisurata all’anzianità di servizio senza possibilità che alcun giudice possa intervenire e modificare la scelta.
Il risarcimento è pari a 2 mensilità per ogni anno di anzianità di servizio con un minimo di 4 ed un massimo di 24 mesi. Peraltro anche nel caso di licenziamenti discriminatori viene data la possibilità all’azienda di monetizzare la decisone andando in “conciliazione facoltativa incentivata” e con l’accettazione da parte del lavoratore offrire una somma esente da tasse e contributi da 2 a 18 mesi modulata sull’anzianità di servizio.

Sto pensando ai giudici del lavoro che possono finalmente smaltire gli arretrati.

C’è un forte rischio in tutto questo e cioè che le aziende estremizzino alcuni aspetti disciplinari – pensate solamente ai ritardi – per invocare un licenziamento che avrà rischi zero e nei primi anni, per effetto delle anzianità basse, costi limitati e certi.
Quanto sopra vale anche per i licenziamenti collettivi, per esempio nei criteri di scelta durante una riorganizzazione aziendale, per cui ci saranno lavoratori di serie A e di serie B per i quali sarà evidentemente vengono meno le tutele legate ad età e carichi di famiglia.

Per quanto riguarda i nuovi ammortizzatori sociali, dal mese di maggio 2015 entra in vigore la Naspi che prende il posto di Aspi e MiniAspi, per i disoccupati con almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti e 30 giornate nei 12 mesi precedenti. La Naspi avrà una durata massima di 24 mensilità (18 dal 2017), con un importo massimo di 1.300 euro (dal quarto mese scatta una riduzione del 3% al mese). La condizione posta perché il lavoratore disoccupato possa usufruire di questo ammortizzatore è che questi ricerchi attivamente un’occupazione. Inoltre, per coloro che, dopo aver beneficiato della Naspi, dovessero rimanere ancora disoccupati e in una condizione economica di bisogno, valutata in base all’Isee, il decreto prevede un altro assegno di disoccupazione, l’Asdi, per una durata massima di 6 mesi e per un importo pari al 75% della Naspi.
E’ inoltre prevista un indennità di disoccupazione per i co.co.co e co.co.pro iscritti in via esclusiva alla gestione separata. L’indennità presuppone tre mesi di contribuzione nel periodo che va dal primo gennaio dell’anno precedente la disoccupazione. La durata dell’indennità non può superare i 6 mesi e anche in questo caso è condizionata alla partecipazione ad iniziative di politiche attive.
Qualcuno poi ci spiegherà che fine farà questa indennità visto che dal 1° marzo non si può più stipulare contratti di collaborazione a progetto e che dal 2016 anche i contratti in corso devono essere convertiti in lavoro subordinato.
A pensare male si potrebbe dire “fatta la legge trovato l’inganno”.

Infine è stato introdotta la disciplina del contratto di ricollocazione finanziato con 50 milioni nel 2015 e 20 nel 2016: è uno strumento che riconosce una dote individuale spendibile presso soggetti pubblici o privati accreditati al fine di ricevere un servizio di assistenza nella ricerca del lavoro (vedi outplacement). Tale voucher potrà essere incassato solo a risultato occupazionale ottenuto.

Ora la palla passa agli imprenditori che sicuramente hanno strumenti e aiuti finanziari sotto forma di sgravi contributivi per sbloccare l’immobilismo degli ultimi anni e dare slancio alla nostra economia ansimante.

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